lunedì 31 ottobre 2011

L'Italia, un paese senza storia?



di Mario Polidori


Come è possibile concepire un titolo del genere? Come si fa a dire una cosa così? In questa terra ci sono stati momenti di gloria indiscussi, come si può arrivare a questa conclusione?
E' semplice, purtroppo. Non basta avere una storia, occorre averla sempre presente, sentirne l'orgoglio perché sia una presenza costante, perché faccia la differenza tra ciò che ci deve accadere e ciò che ci accade. Se nonostante si possieda una storia la si dimentica, o peggio, non la si conosce, è come non averla. Siamo abituati a tirarla fuori all'occorrenza, l'impero romano, il rinascimento, la resistenza, per farci belli e per rinfrescare non la nostra memoria, ma il nostro essere opportunisti, qualunquisti e beceri, poi la rimettiamo da parte, come se l'averla tirata fuori sia sufficiente a rincuorarci ed a rimettere a posto le cose, quando invece ci riconsegnamo alla pigrizia, all'indolenza, e rimandiamo a domani le nostre responsabilità.
Se abbiamo una storia, molto più prepotente, è quella della mafia, delle prevaricazioni, delle speculazioni, della truffa, che sia da colletti bianchi o da strada, dell'arte di arrangiarci e di non soccombere agli eventi, ma di soccombere, in fondo. Una storia fatta da cervelli in fuga, da una politica deteriore, talmente tanto da dare lustro ad altre del passato che sono state inequivocabilmente tragiche. Una classe politica il cui unico scopo è l'ottenimento del consenso, che poi è la naturale conseguenza di una democrazia, ma che in Italia raggiunge livelli di speculazione sublimi, letterari, teatrali, personaggi degni delle maschere di un tempo.
E ci indignamo, ci diciamo che così non può andare, che è arrivato il momento di fare qualcosa, ma l'unico strumento a cui ci rivolgiamo, quando e se lo facciamo, è quello di scendere in piazza a manifestare più o meno pacificamente il nostro dissenso. Lo facciamo quel giorno, siamo a posto con la nostra coscienza e torniamo a casa ad aspettare che non cambia niente.
Un popolo si rivolta nel momento in cui non ha più niente da perdere, ma per noi probabilmente non sarà mai così. I francesi l'hanno fatto ad una certa quota di malcontento, e sono pronti a rifarlo i nostri antipatici cugini, altri lo hanno fatto ad un'altra quota.
C'è sempre un prezzo per rivoltarsi, ma qual è il nostro?


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