lunedì 31 ottobre 2011

Riflessioni “terrene” dell’autista dell’inviato.


di Mario Polidori (da Biella)
La povera terra rossa, tanto bistrattata per le sue caratteristiche di lentezza, assolutamente indadeguate al tennis moderno, dovrebbe essere oggetto di riflessioni più profonde.
Nella sua concepita follia, può essere come il greto di un fiume, anzi, di un torrente, che d’estate va in vacanza, e diventare veloce come nessun’altra superficie al mondo, e può essere insidiosa come una palude, appesantita dalla pioggia appena caduta, e diventare lenta come la colla.
La terra rossa ha dentro di sé tutti i casi della vita, se non ci piace è soltanto perché non siamo preparati, e diciamocelo, perché ci piace vincere facile.
Il tennis femminile mette particolarmente in luce la magagna.
Tutte aggressive da fondo campo, nella speranza che il braccio si trasformi in un cannone talmente potente da scavare un solco nel campo e, soprattutto, nell’anima dell’avversaria.
Ma, se ciò non avviene, il solco lo scava nella nostra, di anima.
Solo la terra ci insegna a giocare a tutto campo, solo la terra ci insegna i cambi di ritmo, il gioco d’anticipo, tutte quelle “diavolerie” insomma, che sono appannaggio di un buon giocatore.
Ad un certo livello diventa un azzardo non avere nel proprio bagaglio le diavolerie che ci servono e come nel poker, gioco d’azzardo per eccellenza, chi controlla soltanto difficilmente vince.
Ci sono tante giocatrici che non hanno il talento che serve e sono costrette ad accontentarsi, ma altre no, altre potrebbero, eppure niente, ci costringono tutte ad assistere a match inguardabili, che con il tennis non hanno niente a che vedere, ad un altro sport.
E la colpa sarebbe della terra? Ma siamo seri.
E’ soltanto la voglia di superare con le bombe nucleari la difficoltà della vita, il mito del superuomo di coccio, utilitaristico, la mercificazione, la speculazione.
Uno spettacolo non per tutti.

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