sabato 5 novembre 2011

Gheddafi e la pistola d'oro.



di Mario Polidori

Anche secondo una ricostruzione di Lizzani, Mussolini è stato ucciso barbaramente da un soldato della resistenza obbligato a farlo, pena la sua stessa morte, una macchia indelebile sulle ragioni da vendere della nostra resistenza.
Non siamo cambiati molto da allora, forse è per questo che la nostra democrazia non funziona, Chissà come funzionerà adesso quella libica, sinceramente non lascia ben sperare. Capisco perfettamente il sentimento di vendetta e morte nei confronti di un tiranno, di chi è stato la causa di così tante sofferenze e responsabile di barbarie di ogni genere, comprendo la rabbia dei popoli che uccidono chi gli ha insegnato che soltanto con la forza e la prevaricazione si ottiene il rispetto dei propri diritti. Non mi sento di biasimarli, neanche un po', hanno fatto né più né meno ciò che avevano imparato, Gheddafi si è messo nelle condizioni di non dare altra scelta, così come è successo ad altri suoi simili. Non li biasimo, non c'era dialogo possibile, ma non sopporto lo strascico di esibizione del trofeo, non sopporto l'uso delle immagini, ma soprattutto non sopporto, non posso sopportare, l'atteggiamento da ultrà eleganti e parolieri dei nostri rappresentanti, ma neanche il modo del cordoglio del mondo intero. Le ideologie e l'avidità disegnano personaggi inquietanti sulla superficie di questo pianeta, ma al di là di ciò che fanno non dobbiamo cedere alla tentazione di metterci alla stessa stregua. No, non ci sono scuse, il demonio si esorcizza non si massacra e poi si mostra in parata, se non siamo abbastanza forti vuol dire che siamo come lui, l'unica differenza sta nella sua pistola d'oro, che noi non abbiamo, ma che ci piacerebbe tanto.

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